Mi piacerebbe
scrivere di politica ma non posso. È troppo complicata, andrebbe
seguita e io non ne ho il tempo e quindi non la capisco. Scrivo
perciò solo di etica. Ho elaborato due princìpi semplici semplici
che mi permettono di ragionare in modo quasi scientifico sulle
questioni di attualità. A partire da essi, porto avanti l'analisi
fino al punto a cui riesco ad arrivare; a causa della mia ignoranza,
non sempre arrivo alla risposta delle questioni; il più delle volte
mi devo fermare prima. Quello che mi sorprende però è che questo
punto d'arrivo, raggiunto a partire da princìpi semplici e con
ragionamenti quasi banali, e che quindi dovrebbe risultare ovvio,
spesso invece è controverso e contrario a quello di molti dei
chiacchieratori da dibattito televisivo. La ragione? Credo che loro,
invece di partire dai princìpi, partano dalle conclusioni che
vogliono sostenere per opportunità politica o personale e poi ci
appiccichino qualcosa che somiglia ad un ragionamento o forse, più
semplicemente, non sanno neanche cosa sia un “principio”.
Tutto qui.
Finché avrò
voglia di scrivere, scriverò e se voi avrete voglia di leggere ciò
che avrò scritto, mi farà piacere ma non mi chiedete di scrivere di
politica, che non ne capisco nulla. Di etica sì. Forse più che come
politico, ho un futuro come “papa”.
Lo sputo della
settimana è dedicato a Fabio Fazio e al caso del rinnovo del suo
contratto con la RAI.
Lui, come i
calciatori o i grandi manager, in teoria entra nel gioco della
concorrenza: per un'azienda, avere nel libro paga uno di questi
personaggi porterebbe (in entrate pubblicitarie, diritti, gestione
delle risorse ... ) un vantaggio economico che giustificherebbe la
spesa; le aziende rivali potrebbero essere disposte a pagare di più
e il protagonista si mette all'asta fino a raggiungere la massima
offerta. Nel caso specifico, io non so quanto questo vantaggio sia
reale e se la RAI possa entrare legittimamente in un gioco di
concorrenza. Sono questioni politiche. Però, dal punto di vista
etico, la situazione mi è chiara.
Consideriamo il
principio del massimo benessere. “Un'azione è buona se, come
conseguenza di essa, il benessere medio aumenta”
Il benessere è
indubbiamente legato alle risorse (soldi). Se questo legame fosse
lineare, la distribuzione delle risorse non sarebbe un problema,
basterebbe massimizzare la ricchezza “nazionale” che in media,
aumenterebbe il benessere “nazionale”. In realtà non è così.
La relazione che lega il benessere alle risorse non è lineare ma
logaritmica. Mi spiego. Con 100 euro al mese un uomo può
sopravvivere dormendo per strada e mangiando 3 euro al giorno di
pane. Con 200 euro al mese potrebbe pagarsi un letto in un dormitorio
e non morire di freddo di notte. Con 400 euro al mese, potrebbe
mangiare a sufficienza e non soffrire più la fame. Con 800 euro al
mese si potrebbe permettere tutta la privacy e i comfort di un
monolocale e pensare ad una famiglia. Con 1600 euro può avere
famiglia, auto e qualche svago; con 3200 euro … . In pratica, per
raggiungere un livello migliore di vita bisogna, ogni volta,
raddoppiare le risorse. I cento euro in più che permetterebbero di
passare dal livello 1 al livello 2 e non soffrire il freddo, non
porterebbero nessun vantaggio sostanziale a chi ne avesse già, per
esempio, 1600. Per non parlare di chi già guadagnasse i milioni di
Fazio. Quindi, non basta che una nazione sia ricca perché il suo
benessere sia elevato in quanto è altrettanto importante sapere come
tali risorse siano distribuite.
Quindi:
1. La libera
concorrenza del mercato è felicità per i soldi ma non
necessariamente per gli uomini (e quindi, come principio, fa schifo).
2. Tutte le
persone che perseguono accumuli di denaro perdono la mia simpatia,
anche se hanno un larghissimo sorriso.
Ecco, questo era
il mio sputo benedetto; andate in pace.
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