mercoledì 22 febbraio 2017

Il ventunesimo dito

Anche oggi, come ieri, decido di uscire sul presto a correre sulla neve per un paio d'ore. Alle 8 sono già fuori, così alle 10 sarò di ritorno, pronto per l'escursione familiare in sci di fondo.
Obiettivo il rifugio “tre scarperi”, nella valle campo di dentro. Ieri, dal crinale del monte Elmo vedevo le cime dolomitiche che sovrastano il rifugio e avevo deciso di andarle a vedere da più vicino.
Si corre bene, prima sulla neve battuta a lato della pista da fondo, poi, entrato nella valle campo di dentro prima sul sentiero poi sulla strada ricoperta di neve. Qualche breve tratto è ghiacciato e fa parte del divertimento continuare a correre provando a non cadere.
Sono vestito come ieri ma qui è più freddo: sul fondo valle di mattina non arriva il sole. In più oggi soffia un bel vento freddo ma ho pensato a tutto. Indosso la maglia termica che mi copre braccia e torace. Ai piedi ho le ottime speed cross che non fanno entrare la neve. Le mani sono coperte da guantini appositi, gli occhi e parte del viso da occhiali da sole. Sento però, fra le gambe, una sensazione di bruciore e mi rendo conto che un unico punto del corpo è rimasto esposto alle intemperie: mi si sta congelando il ventunesimo dito! Indosso un pantaloncino corto senza mutande e la giacca antivento arriva fino al basso ventre ma non copre la zona genitale. In Alto Adige a 1500 metri di quota in un mattino invernale con un vento a -10 gradi, l'ho coperto solo con un sottilissimo strato di lycra! Per paura delle conseguenze di un eventuale assideramento sulle sue funzionalità organiche, lo copro con una mano e mi accorgo che è praticamente annichilito. Tento un massaggino per ripristinare la circolazione ma desisto subito. Ci vorrebbe ben altro. Lo so perché non è la prima volta che tenta la fuga e si ferma solo un attimo prima di sparire del tutto. È successo altre volte, nel finale di ultramaratone. Anche allora avevo tentato inutilmente di ripristinare un aspetto decente per essere presentabile entrando in doccia. Per fortuna non succede solo a me e, da questo punto di vista, le docce maschili post ultramaratona sono molto diverse da quelle dei centometristi, con tutte le dita ancora protese in avanti verso il fotofinish.
Per un attimo mi distraggo guardando la parete imponente della "punta dei tre scarperi”, sempre più vicina, poi penso alle dita dei piedi di Messner, amputate in seguito a congelamento. Ricordo anche racconti di alpinisti che hanno perso qualche dito della mano; in realtà non ho mai sentito racconti di amputazioni del ventunesimo dito per cause analoghe ma forse non se ne parla solo perché è argomento scabroso … Però, anche con la mano destra fissa a coppetta a fare da mutanda, si corre proprio bene. Finalmente si apre il fondo valle in una magnifica piana circondata da pareti dolomitiche ed ecco il rifugio.
Sarebbe bellissimo allungare, facendo il giro della piana; non fosse per quel piccolo particolare starei benissimo ma non ho tempo e voglio salvare l'intimità. Mi giro e inizio la goduriosa discesa balzando leggero sulla stradina innevata. Il vento ora è alle spalle e piano piano torna la sensibilità. È una sensazione dolorosa ma molto tranquillizzante.
Alla fine, ho salvato tutto; senza l'inesperienza di un sardo sulle dolomiti, sarebbe stato proprio magnifico. La prossima volta indosserò mutande di pelliccia.

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