lunedì 19 dicembre 2016

Giancarlo corre con noi

Appuntamento obbligato di fine stagione. Per il quarto anno consecutivo, rispondo molto volentieri all'invito degli amici Gigi e Efisio a questa bella gara sui saliscendi del colle San Michele di Cagliari.
Il Natale si avvicina e il suo spirito aleggia, amichevole e festoso. Atleti sfoggiano corna di renna e non mi viene neanche un rigurgito. Siamo tutti più buoni. Perfino la FIDAL non fa pagare la sovrattassa per le iscrizioni sul posto e, addirittura, tutti tacciono durante il minuto di silenzio in ricordo del povero Giancarlo.
Trovo la mia posizione in seconda fila senza dover spingere e si parte. Siamo tutti buoni e si corre con gentilezza. Francesco passa e non reagisco. Prego, prima lei, si figuri.
A metà del secondo giro, mi supera anche Flavio dicendomi una parola di incoraggiamento. Improvvisamente mi sento un rospo in bocca e lo sputo; stava crescendo lì da tempo ma non me ne ero reso conto; era lo spirito natalizio. Le campanelle che mi rintronavano in testa finalmente tacciono. Ora tutto è più chiaro. Mi astraggo dal contesto generale e tutti gli atleti di categoria diversa dalla nostra diventano comparse insignificanti. Siamo soli io e lui a lottare per il primo posto fra i 50enni. Guardandolo passare, confronto la sua apparente facilità con il mio affanno e temo l'ennesima disfatta. Due settimane prima, alla mezza di Cagliari mi aveva staccato di 4 minuti. Non mi arrendo, provo a reagire e, compensando il disagio fisiologico con la cattiveria, lo tengo a portata.
Foto di Giovanni Anedda
Sulla salita ripida, sputo i polmoni per non perdere altro terreno e nella successiva discesa, pestando i piedi come un ossesso, riesco anche a riavvicinarmi. Ormai è la mia preda. Sono un lupo affamato con la bava che sbrodola dagli angoli della bocca. Resto in agguato pochi metri dietro di lui. Non mi vede ma sente sicuramente il mio ansimare affannoso e il ringhio soffocato dalla saliva. Ultimo giro. Per l'ultima volta affrontiamo il terribile strappo che porta al castello. Sfioro il rantolo ma mi metto alle sue costole. In discesa lo affianco ma reagisce e corriamo i ripidi tornanti, spalla a spalla, piegando e rischiando il contatto, come moto in curva. Fallito l'attacco mi rimetto dietro. Per un momento perdo lucidità e penso che potremmo arrivare insieme mano nella mano ma è solo un altro bolo; basta uno sputo e risfodero il coltello. Il sangue inietta i muscoli e ne resta ben poco per il cervello; contare fino a quattro diventa un'impresa e, per un attimo, pensando che ci sia un altro giro riprendo un po' di fiato. Pollice – uno, indice – due, medio – tre, anulare … Cosa sto facendo! Siamo all'ultimo giro, manca meno di un chilometro e lo sto lasciando andare! È invece il momento di tirare fuori gli artigli e tutto quello che non c'è. In un attimo lo raggiungo poi, al penultimo strappo, sferro l'attacco. Esco dalla trincea con una sortita suicida. Sono sicuro che sta provando a reagire ma non mi volto. Le caldaie stanno per esplodere, 500 metri corsi con il cuore in gola sono lunghissimi ma non mollo. Sento un atleta che mi affianca ma è solo una comparsa che ha reagito al mio sorpasso e non sono costretto ad abbatterlo con una gomitata. Flavio invece ha ceduto. Ecco il tappeto rosso, tutto per me. Taglio il traguardo impennando d'orgoglio.
Sfida epica per il primo posto di categoria fra i cinquantenni. Grazie Flavio, sei riuscito a tirarmi fuori i polmoni e una forza che non pensavo di avere. Mi sono davvero divertito.
Altro che il dolciastro panettone. Ha vinto lo spirito delle interiora, la trippa alla romana. Prosit.

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