sabato 23 gennaio 2016

Cross di Capoterra – Si parte.

In attesa dello sparo ho qualche decina di secondi per concentrarmi su di me; non mi aspetto molto dalla gara: la domenica prima avevo avuto segnali contrastanti, riuscendo a percorrere abbastanza velocemente un giro del percorso di gara, ma finendolo stremato; se voglio arrivare vivo alla fine dei tre giri, dovrò essere prudente. Mi guardo attorno e mi rendo subito conto che qualcosa non quadra. Avevo chiesto a Gianni di comprare il gesso, lui me l'aveva portato ieri e io, stamattina l'avevo messo sotto il palco pronto per tracciare la linea di partenza … ma chi l'ha tracciata? È storta! Nel lato che porta verso l'esterno della curva, invece di avanzare, arretra e io, maledizione, sono proprio da quel lato! Prendere nota: la prossima volta supervisionare con occhio geometrico le linee considerando i primi 7 decimali di pi greco o, per lo meno, partire dal lato giusto! Ora è tardi per spostarsi, si parte. Avevo scelto la terza fila per trovarmi nei primi trenta dopo la partenza, ma l'errore di geometria fa sì che dopo la curva mi ritrovi a metà gruppo, con almeno settanta atleti davanti. Sono costretto, inseguendo gli spazi vuoti, a seguire linee tortuose. A metà salita, raggiungo Teo: “quelli lenti si facciano da parte!” Bene, nonostante la salita, ho il fiato per dire stronzate. Dopo i primi 500 metri di salita, una breve discesa porta nella parte più tecnica del circuito, con continui cambi di direzione e pendenza. Comincio a misurare le forze evitando sorpassi che allunghino troppo la traiettoria.
Chiudo il primo giro in un buon tempo, intorno alla trentesima posizione; la stanchezza e l'affanno si fanno sentire e mi servono stimoli per continuare a spingere e soffrire.
Ho punti di riferimento esterni: il sole, gli astri, i nastri, il gps, o interni: il fiato, il cuore, i dolori. È tutto? No, voglio punti di riferimento in carne ed ossa: voglio dei rivaliNon è vera gara se non posso confrontarmi con altri. Non altri qualsiasi, ma atleti di riferimento, che conosco, che so che vanno ad un ritmo vicino al mio, possibilmente un po' inferiore così posso batterli più facilmente, possibilmente che stiano al gioco, Ne ho bisogno, mi fanno compagnia e mi aiutano a superare i momenti difficili. Sembra la definizione di “amici” e spesso lo sono. Ma in gara voglio batterli, in fondo a cosa servono gli amici se non per aiutarci ad uscire da situazioni difficili? Di solito approfitto della calca prima della partenza per appiccicare sulla loro schiena, a loro insaputa, del bollini rossi che mi serviranno come riferimento durante la gara; questa volta non ne ho avuto il tempo e ognuno è una sorpresa. Ecco Amarildo, della mia categoria, rivale perfetto che parte sempre veloce per lasciarsi quasi sempre superare prima dell'arrivo e, alla fine del secondo passaggio sulla salita, ecco Giuseppe, un altro tra i miei amici rivali preferiti, e poi Genesio … E di rivale in rivale gli stimoli non mancano e mi aiutano a sopportare affanno e fatica.
Con mia sorpresa sto bene, cioè soffro piacevolmente; i pezzi mi hanno accordato una tregua e ne approfitto: percorro gli ultimi 200 metri in lieve discesa a più di 20km/h! Non c'è nessuno da superare ma sentire le gambe che obbediscono spingendo al massimo nonostante la stanchezza è fantastico e farlo davanti ad un pubblico amico è ancora meglio; era da qualche mese che non mi godevo così l'ebrezza di uno sprint.

La piccola Valentina con l'amichetta Ilaria hanno contato gli arrivi per potermi dare la posizione esatta “sei arrivato diciassettesimo!” E non si sono sbagliate. Secondo di categoria, ho pensato, e non mi sbagliavo.

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