venerdì 17 luglio 2015

Roth - il nuoto

Swim – time 1:29:15, place 2399

La partenza è meno emozionante che a Klagenfurt. Si parte a gruppi (waves) di circa 200 atleti ogni 5 minuti. Scendo in acqua lungo la scaletta, indugio un po' con i piedi sul solido dell'ultimo gradino, poi lo lascio con riluttanza, mi immergo nel liquido e nuoto lentamente fino al nastro di partenza. L'acqua è fresca ma non fredda e con la muta si sta bene. “Ten … nine” comincia il conto alla rovescia, “two … one” uno sparo e si parte. Non c'è la solita bolgia. Parto dietro al mio gruppetto e presto lo vedo che si allontana avanti a me e mi trovo a nuotare quasi solo. Sono 2 anni che non nuoto in acque dolci e senza sale la gamba scende; capisco subito che sarà dura. Il percorso segue il canale: una serie di boe, tutte uguali, si sussegue e ogni volta spero invano che la prossima sia quella del “giro di boa” ma per un tempo interminabile si continua nella stessa direzione. Come ho già scritto, ogni 5 minuti parte una “wave” e ogni 15 minuti circa, mi raggiunge da dietro travolgendomi. Sento qualcuno che mi tocca i piedi, poi lo vedo che mi passa accanto. Ogni volta, provo a prendere la scia e a cavalcare le waves come un surfista, ma non sono mai riuscito a prendere l'onda. Quando ormai avevo perso ogni speranza e mi ero rassegnato a nuotare per l'eternità, è arrivato il giro di boa. Dopo aver percorso il canale per 1.4 km, ora si torna indietro per 2 per poi risalire per gli ultimi 400 metri: so che mi aspetta un'altra eternità e mezza, smetto di pensare e rallento ulteriormente la nuotata.
Io che sono un buongustaio, giudico il nuoto anche dalle qualità organolettiche dell'acqua. Poco salata, invero, una rarità per noi pesci di mare ma rovinata da un retrogusto di fanghiglia. Alla vista poi si presenta completamente opaca, non offre riferimenti visivi e quando alzo lo sguardo oltre il pelo spesso mi trovo disorientato e mi sembra di andare verso la sponda. Perdo definitivamente la nozione del tempo.

Sento arrivare un crampetto al polpaccio. Rallento ulteriormente e penso al giorno prima, quando, nel calore del pomeriggio, avevo visto molti atleti con in mano bevande isotoniche. Avrei dovuto berle anche io. Sono già disidratato, penso, e con la maratona che mi aspetta nel caldo pomeriggio, sarà durissima arrivare. Vedo il ponte che lentamente si avvicina. So che da lì mancheranno gli ultimi 800 metri. Poi, al secondo giro di boa, solo 400. Cerco di capire dove sia l'uscita dall'acqua, vorrei tanto avere un riferimento, la sicurezza che prima o poi questa fatica immane finirà, ma non vedo, non capisco. Punto ad un arco, e, solo all'ultimo mi rendo conto che l'uscita era accanto a me e la stavo superando. Finalmente poggio un piede al suolo e, con enorme sollievo, mi lascio tirare su dai volontari. Con i piedi sulla solida terra, mi sento rinascere.

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