martedì 19 agosto 2014

Cavalcando il Catinaccio

Cronache dal pianeta trentino

Appunti di viaggio fisico e mentale.

4. Cavalcando il Catinaccio
Il Catinaccio d'Antermoia
Affascinante ... visto dal basso!

La sottile cresta rocciosa precipita da entrambe le parti. Il sentiero ci passa sopra. In molti punti non si possono appoggiare le mani alla roccia per fare sicurezza perché le rocce sono tutte sotto i piedi. Il sentiero non è difficile ma non è un vero sentiero: un piede su un appoggio stretto con un po' di ghiaietta, l'altro poco più avanti oltre uno spunzone di roccia, ecco, un passo è fatto e non sono ancora caduto. Se non ci fosse il precipizio o ci fosse una corda per assicurarsi, sarebbe un gioco ma, in queste condizioni, ogni passo rappresenta un piccolo rischio. E se i miei scarponcini scivolassero sulla ghiaietta? E se quella roccia fosse bagnata? E se calibrassi male l'altezza del passo e inciampassi? Precarietà. Più di mille volte, nella mia vita, sono caduto, inciampando o scivolando. Questa sarebbe l'ultima. Dopo un altro passaggio un po' più rischioso dei precedenti, mi guardo avanti: la situazione non sembra migliore. Sono a 50 metri dalla grande croce che sovrasta la vetta del Catinaccio d'Antermoia e mi siedo a cavalcioni della roccia. Basta. Ho raggiunto il limite di piccoli rischi che la mia agenzia di assicurazioni interiore può accettare; quei 100 piccoli passi che mancano sono troppi. Osservo, sulla vetta, un signore anzianotto con il figlio e due giovani donne; sembrano tranquilli, parlano e mangiano qualcosa e invece io resto lì aggrappato, immobile, cavalcando la roccia. L'idea di tornare e rifare all'indietro quei passaggi, mi ripugna quanto quella di andare avanti: non resta che stare lì fermo seduto, con le natiche a fare da appoggio e entrambe le mani aggrappate a piccoli appigli sulla roccia. Dopo 5 minuti compare mia madre sulla cresta dietro di me. La vedo iniziare il sentierino di cresta con mille precauzioni. Smetto di guardarla per non soffrire anche per lei. Dopo altri 5 minuti mi raggiunge. Le spiego che quello dove mi vede ancorato è il mio punto d'arrivo. Forse dovranno portarmi da mangiare, possibilmente due volte al giorno. Mi dice che anche lei se l'aspettava più facile e che ora prova a vedere com'è più avanti. Piano piano, a piccoli passi, avanza verso la croce. “Qui è più facile” mi dice. La sua voce, familiare e tranquilla, scioglie le mie paure. Finalmente il mio sedere si stacca dalla roccia.

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