sabato 30 novembre 2013

L'altro lato dell'avventura

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Per ogni avventura finita bene che possiamo raccontare con la voce profonda o scrivere con i polpastrelli callosi dei sopravvissuti, ce n'è un'altra finita male, che, magari nessuno può più raccontare. Provo a dar voce ad una di queste storie, una che mi ha sfiorato in questo straordinario terribile intreccio che è la vita.

Avevo 5 o 6 anni, non ricordo ma, se proprio volete saperlo e sapete leggere, sta scritto qui sulla pietra. Volevo tornarci al fiume. Da solo. Babbo e mamma l'ultima volta erano stati così noiosi … e lì c'è il fango, … e lì è pericoloso, uffa che barba … potevo tornarci da solo, tanto la strada la conoscevo e per uscire di casa senza essere fermato dal solito :“dove stai andando?” di mamma, bastava trovare una buona scusa. Ho preso il camion dei pompieri, l'ho sporto bene, con le due manine, dal balcone della mia cameretta, l'ho lasciato cadere e mi sono fermato un secondo a guardarlo cadere giù in giardino. Uffa,  c'era un signore che mi guardava dalla strada! Mi sorrideva ma scuoteva la testa: “ma che stai facendo” mi ha detto senza parlare; sembrava simpatico; gli ho fatto un sorrisone ma sono diventato tutto rosso, mi aveva beccato e avevo paura che lo dicesse ai miei genitori; i grandi si impicciano sempre e rovinano tutto. Sono scappato dentro ma di nascosto, da dietro la tendina, l'ho visto allontanarsi. Via libera! Parola d'ordine “mi è caduto il camioncino” e, come previsto, mamma m'ha lasciato uscire. E io ho cominciato a correre, non mi tenevo per l'emozione e la contentezza e poi dovevo fare presto prima che si accorgessero e mi potessero fermare.
Non ricordo bene cosa successe quando arrivai al fiume, forse mi ero sporto per recuperare la mia barchetta, forse ero semplicemente scivolato; so solo che improvvisamente mi sono ritrovato in acqua. Ho gridato, chiamato la mamma, pianto ma tutto restava silenzioso ... l'acqua …  faceva tanto male …  avevo tanta paura … ero tanto solo

Ricordo ancora quel pomeriggio. Ero studente a Pisa e stavo tornando a casa dalla stazione. Ricordo di avere visto  quel bimbo che lasciava cadere il gioco e poi si sporgeva a guardarlo, il breve e muto dialogo, le sue guanciotte piene e il bellissimo sorriso, mezzo sfrontato e mezzo timido. Potevo essere io, il timido avventuriero di 15 anni prima. In quel sorriso, così comunicativo, avrei potuto leggere la storia o almeno intuirne il potenziale tragico e cercare di intervenire, di “impicciarmi” per cambiare il corso degli eventi. La lessi invece solo il giorno dopo, sul giornale.

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